Federico
Delmonte nonostante la giovane età, ha già accumulato una serie di esperienze
importanti. Partito per Londra subito dopo la scuola alberghiera, dove ha
ampliato i suoi orizzonti avvicinandosi a modi di cucinare ancora a lui
sconosciuti, rientra in Italia e approda al ristorante Il Pagliaccio di Roma,
al fianco di Antony Genovese,
esperienza da lui definita fra le più importanti per la sua formazione di chef.
Seguiranno altre due parentesi in
rinomati ristoranti della Romagna (il Povero Diavolo di Torriana in
provincia di Rimini e Il Magnolia
di Cesenatico), per terminare con la grande opportunità di trascorrere un
periodo a Firenze presso la cucina dell’enoteca Pinchiorri. Il suo pensiero
gastronomico di fondo parte dalla qualità e dalla stagionalità della materia prima.
Federico Delmonte è costantemente alla ricerca di prodotti alimentari di
eccellenza, che elabora e trasforma con l’ausilio della tecnica acquisita ma
sempre nel rispetto del gusto e senza mai dimenticare il legame con la cucina
tradizionale dei suoi luoghi d’origine.
Come è nata la Sua passione per la cucina?
Credo risalga alla mia infanzia, è qualcosa di
legato alla figura dei miei nonni che mi hanno avvicinato alla cucina
insegnandomi anche il rispetto per
il cibo.
Se non avesse fatto lo chef che lavoro avrebbe
fatto? Probabilmente avrei scelto
una professione nell’ambito sportivo.
Mi dica tre caratteristiche necessarie che
contraddistinguono un bravo chef.
Costanza,
umiltà e buona tecnica.
Battuta Raffaello Battuta di fassona piemontese condita con tandoori lime, olio evo e poi avvolta nel cocco rapé |
Lei è volato a Londra subito dopo la scuola
alberghiera. E’ stato difficile per un ragazzo giovane inserirsi in quel
contesto e quanto ha contato questa esperienza?
Inizialmente è stato abbastanza difficile inserirsi
in una realtà così diversa ma devo ammettere che ne è valsa la pena perché si è
rivelata un’esperienza importante. Sicuramente sono stato facilitato dal fatto
di trovarmi in compagnia di altri tre ragazzi della mia età, e ciò ha fatto si
che ci motivassimo a vicenda. Anche se alla fine, come in molti casi della
vita, devi buttarti da solo e camminare con le tue gambe.
Che differenze ha riscontrato nel lavorare in un
ristorante inglese, “The Dorchester” e un ristorante italiano a Londra, lo
“Zafferano”?
The Dorchester mi ha
insegnato il rigore, la pulizia e la costanza, elementi fondamentali per
mantenere il livello richiesto dalla situazione. La parentesi professionale
presso il ristorante Zafferano, invece, è stato il mio primo approccio ad una
cucina stellata.
Capesante, fave , caciotta e limone Purea di fave, Capesante scottate con su caciotta e gel al limone e bergamotto, lavanda e ravanello |
C'è una cucina, nel mondo, che più l'affascina e che magari Le ha
ispirato qualche contaminazione di stili e di gusti? Per il momento sono influenzato principalmente dalle diverse culture che ho imparato a
conoscere durante il mio percorso professionale , come quella orientale ad
esempio. Col tempo però, ampliando
gli orizzonti, il mio stile di cucinare potrebbe rivelare nuove contaminazioni.
Il mio punto di partenza è comunque sempre la cucina italiana.
Il carciofo..... Pappa al carciofo, carciofo cotto e brasato con su del berbere, succo di orzo e pane croccante |
Tra le Sue esperienze professionali ci sono quella al Pagliaccio di Roma, al fianco di Antony Genovese e una breve parentesi all’Enoteca Pinchiorri. Che influenza hanno avuto nella Sua formazione? Quella con Antony Genovese è stata per me un’esperienza fondamentale che si è poi trasformata in una solida amicizia. Grazie a lui mi sono avvicinato alla cultura orientale riuscendo ad apprezzarne ogni sfumatura, tanto che oggi la si può ritrovare nelle mie proposte culinarie. Lo stage all’ Enoteca Pinchiorri mi ha insegnato l’eleganza nel modo di presentare il cibo, che non è mai dissociata da un certo rigore. Sono state entrambe due grandi opportunità per accrescere il livello della mia professione.
Quali sono gli ingredienti che non possono mancare
nella Sua cucina?
Nelle mie preparazioni utilizzo molto gli agrumi,
per esempio.
L’idea di un suo nuovo piatto nasce dall’impulso o
dalla sperimentazione?
Direi
sicuramente dall’impulso.
La creazione culinaria di cui è più orgoglioso?
E’ difficile dirlo perché sono molto critico con me stesso e mi
sembra di non avere mai fatto bene abbastanza.
C’è un piatto non Suo che avrebbe voluto creare
Lei?
Si, si tratta del wafer di foie-gras servito come amuse bouche dello chef Mauro Uliassi di Senigallia.
Ripeterebbe tutto daccapo?
Certamente si.
Emanuela Tediosi